15 apr 2015

a gaza i bambini trovano l’asilo vittorio arrigoni

Dell'apertura a Gaza della scuola materna dedicata alla memoria di Vittorio Arrigoni, detto Vik, attivista, giornalista e scrittore italiano, assassinato a Gaza nel 2011 da un gruppo  jihadista salafita [clicca qui], abbiamo raccontato in un nostro post del 1. novembre 2014 [clicca qui]. 

Di seguito il reportage sulla scuola materna a cura di Michele Giorgio, pubblicato dal quotidiano il manifesto il 15 aprile 2015. 
Per facilitarne la lettura forniamo l'articolo anche in versione pdf [clicca qui].

Quattro anni dopo l’assassinio di Vittorio Arrigoni, Gaza non dimentica. Ad al Bureij decine di bambini palestinesi studiano e giocano nell’asilo dedicato a Vik. Un progetto gestito dalle associazioni «Ghassan Kanafani» e «Dima» che promuove una eduzione progressista in una delle aree più povere della Striscia
Da que­sta parte, forza, spo­sta­tevi, non bloc­cate la strada». Un gio­vane si improv­visa vigile urbano e prova met­tere un po’ d’ordine nel traf­fico cao­tico all’incrocio tra la Salah Edin, l’“autostrada” di Gaza, e il campo pro­fu­ghi di Bureji dove ci aspet­tano all’asilo “Vit­to­rio Arrigoni”.
Quando arrivi in que­ste zone ti rendi conto delle tante Gaza che esi­stono all’interno della Stri­scia. I livelli di dram­ma­ti­cità sono diversi. L’offensiva israe­liana “Mar­gine Protet­tivo” della scorsa estate ha col­pito ogni punto di Gaza, nes­suno è stato risparmiato. Ma la fascia orien­tale della Stri­scia è l’area più desta­vata, più segnata da bom­bar­da­menti e cannoneggia­menti. A Beit Hanoun, Shu­jayea, Khu­zaa e Rafah, povertà, caos e mace­rie formano un mix micidiale.
La rico­stru­zione nel frat­tempo resta un con­cetto astratto. Gli appelli ad aprire subito i cantieri si acca­val­lano — l’ultimo è di quello lan­ciato da 45 ong e asso­cia­zioni del coordinamento “Aida” – e si scon­trano con le pro­messe inter­na­zio­nali non man­te­nute di aiuti per miliardi di dol­lari e con le forti limi­ta­zioni che Israele pone all’ingresso dei materiali per l’edilizia.
La «verità» processuale
Delle tre offen­sive israe­liane con­tro Gaza, Vit­to­rio Arri­goni ci aveva rife­rito di quella nota con il nome di “Piombo fuso”, tra il dicem­bre 2008 e il gen­naio 2009. Rac­conti quo­ti­diani di distru­zioni, di esi­stenze spez­zate ma anche di spe­ranza, di bam­bini che chie­de­vano (e chiedono) di gio­care sereni, di adulti che non vogliono vivere in una Gaza-prigione. Vit­to­rio voleva restarci per anni a Gaza, per con­ti­nuare ad infor­mare gli ita­liani su quanto acca­deva (e accade) in que­sto lembo di terra mar­to­riato dove aveva stretto legami e rap­porti indisso­lu­bili con per­sone e luo­ghi. Non ha potuto farlo. Quattro anni fa, pro­prio in que­ste ore, i pale­sti­nesi e gli ita­liani che lo segui­vano e stima­vano, appre­sero del suo bru­tale assas­si­nio com­piuto alcuni gio­vani di Gaza e dal loro capo gior­dano, che si pro­cla­ma­vano mem­bri di una cel­lula del gruppo sala­fita Tawhid wal Jihad.
Durante il pro­cesso gli assas­sini affer­ma­rono di aver seque­strato Vit­to­rio per usarlo in uno scam­bio di pri­gio­nieri volto ad otte­nere la libe­ra­zione del loro capo, arre­stato e incar­ce­rato dalla poli­zia di Hamas. Dopo la con­danna all’ergastolo, in appello i condannati hanno ottenuto una sen­tenza più mite. Ora alter­nano a periodi di detenzione altri di libertà vigilata. A Gaza si sus­surra che pre­sto saranno liberi. La fami­glia di Vit­to­rio, la madre Egi­dia e la sorella Ales­san­dra, ancora oggi non sanno quanto la verità pro­ces­suale coin­cida con ciò che accadde in quei giorni di metà aprile del 2011. Egi­dia e Ales­san­dra Arri­goni attraverso la fon­da­zione che porta il nome di Vit­to­rio, hanno avviato pro­getti e ini­zia­tive , per dare con­ti­nuità al per­corso di “Vik”. E come loro hanno fatto altri ita­liani e anche palesti­nesi. Quella che ha lasciato Vit­to­rio non è solo una ere­dità poli­tica ma anche un’idea di mondo, di vita, di giu­sti­zia, di relazioni tra i popoli.
Tra le vit­time di Mar­gine protettivo
Abban­do­nato il taxi ci avviamo verso l’asilo di al Bureji. «Ha aperto lo scorso settembre e tra non molto ne avremo un altro anche a Khan Yunis, sem­pre con il nome di Vit­to­rio», ci spiega Saad Ziada, uno dei prin­ci­pali pro­mo­tori del pro­getto educa­tivo. Che forza d’animo ha Ziada. Ne avrebbe di motivi per essere depresso, deva­stato. “Mar­gine Pro­tet­tivo” gli ha ucciso gran parte della fami­glia. «A mia madre e agli altri avevo detto di abban­do­nare casa per­chè in quella zona gli israe­liani sparavano con­tro tutto. Non mi hanno ascol­tato. Sai, noi pale­sti­nesi dopo la Nakba (1948) pre­fe­riamo non lasciare le nostre abi­ta­zioni, anche quando rischiamo la morte. Dob­biamo resi­stere e rima­nere nella nostra terra», ci dice Ziada davanti all’ingresso dell’asilo gestito dall’associazione socio­cul­tu­rale “Ghas­san Kanafani”, dal nome del grande scrit­tore pale­sti­nese non­chè diri­gente del Fronte popo­lare per la libe­ra­zione della Pale­stina, l’espressione più impor­tante della sini­stra palestinese.
Part­ner del pro­getto è l’associazione ita­liana “Dima”, dal nome della pic­cola Dima al Zahal, l’ultima vit­tima di «Piombo fuso». Dima, oggi avrebbe 11 anni, fu ferita gravemente alla testa, all’addome e alle gambe il 7 gen­naio 2009 da un bombardamento aereo sulla sua città, Beit Lahiya. Tra­sfe­rita all’ospedale “Pale­stine” al Cairo, spirò la mat­tina del 2 marzo 2009, poche ore dopo la visita di una dele­ga­zione ita­liana diretta a Gaza.
«Signora Egi­dia, l’aspettiamo»
Con somme diverse donate all’associazione “Dima”, i 99 Posse, il mani­fe­sto, Egi­dia e Alessan­dra Arri­goni, Ful­vio Renzi con il suo «The Rea­ding Movie» e nume­rosi ita­liani hanno con­tri­buito all’apertura dell’asilo «Vit­to­rio Arrigoni». 
Ci acco­glie uno stormo di pic­coli che cor­rono in classe. A gui­darci nella visita all’asilo è Safaa Rajudi, una delle cin­que inse­gnanti che, assieme a due assi­stenti, si occu­pano di 85 bam­bini tra i quat­tro e i sei anni. Safaa manda subito un saluto alla mamma di Vit­to­rio. «Signora Egi­dia, spe­riamo di potere acco­gliere pre­sto lei e sua figlia – ci chiede di scri­vere l’insegnante -, l’impegno di Vit­to­rio per Gaza fa parte dei rac­conti inse­riti nel pro­gramma di appren­di­mento dei nostri bambini».
L’asilo ha tre aule, colo­rate, ben arre­date. Il cor­tile in parte è rico­perto di sab­bia, dove sono state siste­mate le gio­stre. Intorno il muretto è deco­rato con per­so­naggi dei cartoon e dei fumetti. Alle spalle domina un dise­gno con l’immagine di Vittorio.
«Il nostro asilo è un po’ diverso dagli altri – aggiunge Safaa – se da un lato seguiamo il programma del mini­stero (dell’istruzione), dall’altro cer­chiamo di favo­rire la creatività dei bam­bini, di affron­tare temi che non sono trat­tati nelle altre strut­ture sco­la­sti­che di Gaza. E non man­chiamo di dare soste­gno psi­co­lo­gico ai bam­bini che più di altri hanno subìto il trauma della guerra, dell’attacco mili­tare israe­liano, che hanno per­duto mem­bri della loro fami­glia o la loro abi­ta­zione. E se prima a moti­varci c’era solo la memo­ria di Ghas­san Kanafani ora c’è anche quella di Vittorio».
Un modo di edu­care e di lavo­rare che ha con­vinto i respon­sa­bili di “Dima”. «Durante la nostra visita a Gaza, un paio di anni fa — spiega Fran­ce­sco Gior­dano — abbiamo potuto veri­fi­care l’importanza della pre­senza dell’Associazione Ghas­san Kana­fani all’interno della società pale­sti­nese, soprat­tutto tra le fasce più povere ed abbandonate per farle cre­scere in auto­no­mia e libertà e non sog­gio­gate dalla loro condi­zione di biso­gno». L’impegno rivolto ai bam­bini più poveri ed emar­gi­nati di Gaza, fon­dato sulla cul­tura nazio­nale democra­tica e l’impiego del lavoro delle donne, sono i punti che hanno avvi­ci­nato “Dima” e “Ghas­san Kana­fani”. «Siamo con­vinti che per raf­for­zare la resi­stenza del nostro popolo — spiega Saad Zaida – e per affron­tare l’occupazione israe­liana si dovreb­bero raf­for­zare gli indi­rizzi demo­cra­tici e il pro­gresso nella società pale­sti­nese. Siamo con­vinti della cen­tra­lità e dell’importanza dell’educazione, della demo­cra­zia e del progresso».
Gior­dano sot­to­li­nea la cen­tra­lità che Vit­to­rio Arri­goni asse­gnava ai prin­cìpi e ai programmi fon­danti dell’asilo di al Bureij che ora porta il suo nome. «Vit­to­rio non si dispe­rava mai – ricorda — aveva capito fin dall’inizio dove sta­vano i torti e dove le ragioni e scelse da che parte stare, senza ten­ten­na­menti. Il sen­tirsi costan­te­mente den­tro una grande, per­ce­pita e visi­bile ingiu­sti­zia non lo ha mai fiac­cato. I bombardamenti, gli omi­cidi mirati, le per­qui­si­zioni, i seque­stri dei pale­sti­nesi, che fossero uomini, donne o bam­bini non modi­fi­ca­vano mai il suo stile, ed il con­te­nuto dello scri­vere: sem­pre attento, pre­ciso, direi minu­zioso e mira­co­lo­sa­mente quando leg­ge­vamo tutto scor­reva come un ruscello, capi­vamo tutto, senti­vamo l’occupazione, l’umiliazione di essere oppressi sulla pro­pria terra».
La morte di Vit­to­rio, pro­se­gue Gior­dano, «sul momento ci fece per­dere la spe­ranza, ci colpì vio­len­te­mente da farci quasi sve­nire, il mondo s’era capo­volto. Tro­vammo lucidità coi giorni, quando andammo a rileg­gere le sue testi­mo­nianze, a guar­dare le foto ed i fil­mati, quando chi ne aveva rovi­stava nei ricordi. Vit­to­rio – con­clude Giordano a nome di “Dima” — scri­veva sem­pre di restare umani, di non cedere a quelli che ci vorreb­bero disumanizzare. Restare umani signi­fica seguire l’esempio di donne e uomini come Rachel Cor­rie, Tom Hun­dall e, appunto, Vit­to­rio Arri­goni che hanno scelto di met­tere da parte un pochino della pro­pria ragio­ne­vo­lezza per non sacri­fi­care la pro­pria uma­nità». I bam­bini di al Bureji lo impa­rano ogni giorno, nel ricordo di Vik.

Reportage di Michele Giorgio, inviato ad Al Bureij (Gaza), 14.4.2015

(da il manifesto, 15 aprile 2015)
 

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