13 feb 2014

tutti i bambini sono speciali (di daniele novara)

Pubblichiamo un articolo di Daniele Novara, psicopedagogista e fondatore del Centro psicopedagogico della pace e della gestione dei conflitti (http://www.cppp.it/).  

TUTTI I BAMBINI SONO SPECIALI - Quando la discriminazione assume le parvenze di una diagnosi medica

Tre anni fa, a una serata in memoria di Lorenzo Braibanti, grande medico piacentino che portò il parto naturale di Leboyer in Italia, intervenne anche il figlio, Paride, docente di Psicologia della salute all’Università di Bergamo. Mi colpì il suo pensiero sulla situazione dei bambini in Italia, in particolare la preoccupazione che si stesse andando verso una sanitarizzazione delle naturali differenze infantili; che, cioè, le forme necessariamente imperfette in cui l’infanzia si esprime stessero per essere confuse con vere e proprie patologie.
Tre anni non sono molti ma mi pare che questa preoccupazione stia diventando una realtà.
Invece che creare le condizioni  perché i bambini e le bambine facciano una vita adeguata ai loro bisogni e ai loro diritti (gioco, socialità, motricità, natura, sviluppo del potenziale di apprendimento, sviluppo delle proprie autonomie) si è presa la strada più comoda e banale: rubricare come malattia ogni sorta di comportamento infantile che disturba in qualche modo gli adulti.
Ad esempio: se un bambino, superati i 3 anni, non ha ancora raggiunto il controllo sfinterico e addirittura a 10 anni utilizza ancora il pannolino di notte, lo si porta dall’urologo alla ricerca di improbabili disturbi fisiologici e magari di farmaci di dubbia pertinenza. Non sarebbe più semplice organizzare da subito una buona gestione delle autonomie togliendo il pannolino entro i 3 anni?
Il diritto di ogni bambino a essere aiutato a sviluppare le autonomie nel rispetto alle proprie capacità è la base stessa della vita e della crescita. Se l’educazione non va in questa direzione, ma ritarda sistematicamente l’indipendenza, si creano piccole e grandi disabilità.
Un altro esempio ci arriva dall’“allarme violenza”. Sempre più spesso le scuole segnalano la presenza di bambini dai 5 ai 7 anni definiti come…VIOLENTI! Il più delle volte sono soprattutto soggetti molto vivaci, iper espansivi, con una difficoltà a stare fermi per più di qualche decina di minuti. Definirli violenti è un azzardo.
Occorre usare adeguatamente i termini. Possiamo parlare di un eccesso di aggressività, di una difficoltà a stare nei banchi dalle 8 alle 16 (il caso di alcuni tempi pieni davvero molto ossessivi!), ma non di “violenza”. È poi illegittimo sospendere per “punizione” l’intervallo, ossia l’unico vero momento di pausa, specie per questi bambini che ne hanno un bisogno estremo.
Anche su questo occorre ricordare due diritti imprescindibili dei bambini: il diritto alla motricità, ossia all’uso delle mani e delle gambe per muoversi e giocare; il diritto a un buon processo di apprendimento che preveda pause adeguate e occasioni di didattica sociale, di gruppo, di interazione fra pari.
Viceversa ci troviamo con una scuola sempre più confinata nello spazio angusto e claustrofobico di una metodologia frontale, carica di contenuti da mandare a memoria. Una metodologia sempre più arroccata sul sistema  lezione-studio-interrogazione.
È il modello INVALSI, ossia il puro e semplice ritorno al nozionismo, alla risposta esatta, ai test se non ai quiz. La scuola degli apprendimenti reali, delle competenze, della valutazione evolutiva piuttosto che assoluta è stata letteralmente cancellata per far posto alla peggiore versione della scuola di una volta.
L’insegnamento digitalizzato non sembra in grado di opporsi a questa tendenza, anzi c’è il rischio che la peggiori ulteriormente. Senza formazione pedagogica e didattica per gli insegnanti, che sono la risorsa più importante per la scuola pubblica, è difficile se non impossibile che un TABLET o una LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) possano sopperire ai basilari della professione: avere una predisposizione personale al lavoro formativo, saper gestire un gruppo classe, saper impostare un programma efficace di apprendimento che motivi gli alunni, collaborare coi colleghi.
Segnalo infine una notizia interessante. Allen Frances, famoso psichiatra americano fra i principali autori del manuale diagnostico DSM IV in uso in tutti i Centri Psichiatrici del mondo, ha appena pubblicato un libro dal titolo significativo Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie (Bollati Boringhieri, Torino 2013) in cui senza mezzi termini prende posizione contro la medicalizzazione della normalità.
Frances, con la lucidità del “pentito”, lancia un grido di allarme: nel DSM V le diagnosi, previste nel DSM IV, sono state allargate a dismisura fino a includere comportamenti e tratti caratteriali non patologici, e la colpa non è solo dei medici ma soprattutto delle case farmaceutiche e dei tanti interessi che sulle diagnosi psichiatriche costruiscono la propria fortuna.
Si rischia lo stesso errore con i bambini. La recente norma scolastica sui BES (Bisogni Educativi Speciali) allarga ulteriormente la possibilità di trasformare un bambino vivace in un bambino “speciale”: da tenere sotto vigilanza più o meno stretta col rischio in realtà di una velata forma di discriminazione. La norma è eccessiva e sottovaluta un aspetto evidente: che tutti i bambini sono speciali, che il loro potenziale neurologico e fisiologico è plastico e quindi può migliorare, che se si fanno le mosse giuste tutti possono esprimere le loro risorse, che i casi davvero irriducibili sono rarissimi, che i bambini e le bambine hanno diritto di fare i bambini. Con tutte le scocciature che possono causare agli adulti, specie a quelli che si sono dimenticati troppo rapidamente di essere stati a loro volta dei piccoli cuccioli.
Daniele Novara
(pubblicato in Conflitti, Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica, n.1/2014)

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